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LE GRANDI FIGURE: Dom Romain Banquet / La Vita

autore: Monastero

Luigi Banquet, in religione Don Romano, nacque a Dourgne, piccolo villaggio del Tarn, il 5 dicembre 1840.
Una donna di grande pietà, presente alla sua nascita, disse che sarebbe stato un «servo di Dio» e il padre, quasi impressionato di quel vaticinio e consentendo volentieri alla precoce pietà del bambino, lo mise a nove anni al piccolo Seminario di Castres, per avviarsi al Sacerdozio. Durante gli studi teologici, nel Seminario maggiore di Albi, sentì la prima attrattiva verso la vita religiosa. «Là Dio mi attendeva, là comincia la storia della mia anima».

L'entrata di un compagno di seminario nella recente fondazione del P. Muard orientò il giovane seminarista verso quell'austero ideale di penitenza e di predicazione che aveva per norma la Regola di San Benedetto praticata nella sua primitiva integrità. Il giorno stesso in cui ricevette il suddiaconato (19 dicembre 1863) Luigi Banquet partì per il Monastero della Pierre-qui-Vire; all'insaputa dei genitori che lo volevano bensì sacerdote, ma non monaco.
Il noviziato fu molto duro sia per le prove cui il Padre Maestro sottopose il suo temperamento indomito, sia per il regime generale di povertà, di lavoro, di silenzio, di privazioni di ogni sorta. Fu ammesso alla Professione il 10 febbraio 1866; l'anno dopo, il 15 giugno 1867 fu ordinato sacerdote nella Cattedrale di Sens. Seguirono tre anni di attività apostolica in cui Don Romano percorse tutta la Francia predicando missioni e ritiri, facendo discorsi e conferenze di ogni genere; la sua tagliente eloquenza conquistava ovunque le anime, le rigide penitenze a cui si sottoponeva, ottenevano fecondità di grazia alle sue parole. Fu durante un ritiro predicato nel 1874 al Monastero di Jouarre che il giovane monaco, per invito dell' Abbadessa, prese sotto la sua direzione spirituale la signorina Maria Cronier che doveva poi essere la fondatrice di S. Scolastica di Dourgne.
Il 13 aprile 1875 D. Romano emise i voti solenni e il giorno dopo fu nominato Maestro dei Novizi; dopo due anni fu inviato come Priore al Monastero di S. Pierre de Canon in Provenza.
Durante una missione predicata a Dourgne nel 1885, il Vescovo di Albi gli espresse il desiderio di vedere i monaci benedettini ristabiliti nella sua Diocesi, e poichè il Monastero di S. Pietro di Canon non offriva grandi possibilità di sviluppo, nel 1889 D. Romano, col beneplacito dei Superiori Maggiori dell'Ordine e mantenendosi fedele al programma del «Santo Fondatore» il P. Muard, trasferì la sua Comunità nella proprietà di famiglia di En Calcat, fondandovi il Monastero di S. Benedetto. Un anno dopo, a mezzo chilometro di distanza, sorse il Monastero di S. Scolastica, per opera di D. Maria Cronier, rinnovando la tradizione dei monasteri gemelli, così fiorente nel monachesimo del VI e VII secolo.
D. Romano fu l'anima delle due Abbazie, trascinandole verso gli ideali più puri della santità benedettina. Intanto continuava a fare ritiri e predicazioni, attirando ai suoi Monasteri un numero prodigioso di vocazioni.
Le due Abbazie, ormai canonicamente erette, erano nel pieno fiore, quando si abbattè su di esse la persecuzione (1901). Mentre le monache potevano restare nella loro clausura, i monaci furono costretti ad andare in esilio a Besalù in Spagna. D. Romano faceva la spola fra i suoi figli e le sue figlie, sostenendoli col suo coraggio e con la sua fede. Poterono tornare nel 1918 e furono cinque anni di rinnovata tranquillità e pieni di promesse.

Ma ormai D. Romano sentiva il peso dell'età e la nostalgia di una vita esclusivamente raccolta nella preghiera. Nel 1923 diede le dimissioni che non furono accettate, ma gli fu dato tuttavia un Abate Coadiutore. Egli si ritirò a vivere nella foresteria di S. Scolastica e fu «l'orante nascosto le cui preghiere sono feconda rugiada per il suo monastero». Amava percorrere un breve tratto della strada che unisce i due Monasteri, nella sua passeggiata quotidiana.

Il paesaggio era familiare ai suoi occhi e al suo cuore: intorno si stendevano i campi che erano stati proprietà della sua famiglia e avevano visto i suoi giochi arditi di fanciullo vivacissimo; si intravvedeva fra gli alberi la casa natale, ora divenuta foresteria dell'Abbazia di En Calcat: «su un poggio fresco e ridente, in vista di un immenso orizzonte», chiuso da un lato dalla Montagna Nera, verso cui così spesso s'erano levati i suoi occhi di bimbo, teso a sognare del Cielo con la sorellina Giovanna. «Sapevo appena parlare e già discorrevamo insieme della presenza di Dio».
Su quella strada, tra le due file alte di platani, il Padre Abate camminava sorridendo, levava la mano a benedire, faceva scorrere lentamente fra le dita il Rosario. Più spesso andava silenzioso, raccolto in una intensa preghiera. Tornava di quando in quando ad En Calcat per presiedere le più importanti cerimonie della vita conventuale e nel 1926 e 1927 celebrò il giubileo di diamante della sua vita monastica e sacerdotale. Un giorno i campi e gli alberi non lo videro passare più. Il 24 dicembre 1928, dopo aver celebrato la Messa con un fervore e un raccoglimento ancor più intensi del solito, Don Romano fece una grave caduta, battendo la testa. A chi lo rialzava disse: «Me ne vado verso l'eternità». Ed era vero.
Seguirono due mesi di sofferenze intense. Consumava nell'obbedienza all'infermiere la disponibilità totale: di corpo e di spirito, alla volontà di Dio che aveva praticato durante tutta la vita; affidava alla prediletta discepola, l' Abbadessa di S. Scolastica, i supremi ideali di santificazione per la sua duplice famiglia monastica; e saliva, saliva, nella sofferenza e nella preghiera, verso l'Amore.
Morì che al campanile dell'Abbazia suonavano le tre; la stessa ora di Gesù. Lungo la strada, schiarita dal sole invernale, passò una ultima volta, portato a spalla dai suoi monaci. Sorrideva ancora, ma, nella solennità della morte, il suo sorriso era più maestoso: come di chi ha visto Dio. Il giorno dei suoi funerali la Liturgia faceva cantare nell'Introito della Messa «Satiabor cum apparuerit gloria tua». Morì il 25 febbraio 1929.

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