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LE GRANDI FIGURE: Madre Andrea Bonnafous

autore: ***

Donna Andrea Bonnafous nacque, secondogenita di sei figli a Salindres (Gard) dove il padre era medico.

dall’infanzia a Civitella

la storia di una vocazione.

A sei anni, dopo la tosse convulsa, fu mandata in montagna per ristabilirsi. Il suo lettino era vicino a quello della Suora che si occupava di lei e la sera non si addormentava se non tenendo la mano della sua maestra.
Quando la mamma andò a riprenderla, la religiosa le disse: «Non so quali siano i disegni di Dio su questa bambina, ma sono certamente molto belli. Se voglio ottenere una grazia, conduco Andrée in cappella e la faccio pregare».
A undici anni faceva la prima Comunione alla Visitazione di Tarascon.

Aveva dodici anni quando il dottor Bonnafous ebbe a curare un bambino difterico. Noncurante del contagio, aveva preso il piccolo sulle ginocchia per esaminare la gola più da vicino: il malatino ebbe un colpo di tosse e gli imbrattò il viso e la barba di membrane difteriche. Il dottore disse subito: «Sono perduto». E più tardi a un amico: «Se dovessi rifarlo, lo rifarei». Infatti il siero, richiesto all’Istituto Pasteur, non arrivò in tempo, e il dottor Bonnafous moriva dopo aver fatto cristianamente il sacrificio della propria vita.
Andrée, intelligente e buona, si mostrò subito piena di premure e di comprensione per la mamma così provata. L’ascoltava a lungo con attenzione anche se gli argomenti non avevano particolare interesse per lei.

Dopo la morte del padre entrava con le sorelle al Sacro Cuore di Avignon dove rimase cinque anni. Qui si fece subito notare per la viva intelligenza e l’amore allo studio. Alla fine dell’anno scolastico meritava sempre tutti i premi, la condotta invece lasciava un po’ a desiderare.
Durante le vacanze, la famiglia andava a Palavas-les-flots. M. Andrea conservò per tutta la vita un grande amore per il mare e i ricordi di Palavas affluivano spesso nella conversazione. Nelle notti di luna, sul terrazzo di fronte al mare, si alternava con il fratello Jean nel recitare poesie sue o dei suoi cari poeti.

Un ritiro a Dourgne, dove era entrata la sorella Maria, la incantò e decise la sua vocazione: sarò benedettina.
Fu appunto dopo la vestizione di Maria, divenuta sr Christine, che, con innocente malizia, Andrée chiese alla mamma di lasciarla ancora un po’ di tempo per tener compagnia alla sorella. La mamma acconsentì, benché il fratello Jean, presago, esclamasse: « Mamma, tu scherzi col fuoco ». Infatti quando l’anno dopo la mamma si presentò al Monastero per riprendere il suo «tesoro», il tesoro aveva deciso di rimanere nel suo scrigno. La Madre Abbadessa Maria Cronier riuscì a convincere la mamma e Andrée fu ammessa come postulante.

Dopo la professione, ricevette l’obbedienza della portineria e fu nominata maestra delle Sorelle esterne, incarichi che conservò fino alla partenza per Civitella, insieme a quello della rilegatoria in cui eccelleva.
Venticinque anni di vita monastica esemplare e poi la partenza per Civitella dove doveva essere, prima priora conventuale e, nel 1947, Abbadessa a vita «ad nutum Sanctae Sedis ».

da Civitella al Cielo
il ricordo delle sue figlie

La cultura e il modo di esprimersi della nostra Madre non erano mai libreschi, e di qui derivava quell’attrattiva che tutti quelli che l’hanno conosciuta provavano per lei. Aveva delle uscite originali, profonde, delicatissime. Senza discorsi complicati, senza parole ampollose, con un colpo d’ala trasportava nelle regioni luminose e serene ove la sua anima viveva abitualmente e poneva quasi furtivamente sotto gli occhi di chi l’ascoltava quelle verità che le riempivano il cuore e che rendevano bella e lieta la sua esistenza.

La Madre Abbadessa amava persone e cose, vedeva in esse il riflesso della bellezza e della bontà divina, ne godeva profondamente, così tutta la sua giornata era un continuo e lieto atto di amore.
Per il suo Dio anzitutto, si levava prima della sveglia per poter essere più sollecita a «mattinar lo sposo ». Poi, dopo le ore della preghiera silenziosa e corale, dopo l’assistenza al Divin Sacrificio, incominciava il dono di sé alle figlie che si facevano una festa di bussare alla sua porta, di entrare anche solo per un permesso, o di incontrarla nei corridoi ove le si inginocchiavano sorridenti per ricevere la sua benedizione, in silenzio, «perché nei luoghi regolari non si parla», ma felici di quel contatto che dava loro il Signore e con Lui, la gioia, il coraggio, la pace.

Ella aveva per tutti quelli che ricorrevano a lei, e non erano pochi, la parola giusta, la direttiva sicura, l’incoraggiamento efficace.
Quando ci spiegava la Regola in Capitolo era una festa per tutte. Le più dotte ammiravano l’elevazione dei concetti, la proprietà dei vocaboli, l’eleganza dello stile: alle più semplici brillavano gli occhi man mano che la Madre trattava argomenti della loro vita quotidiana: erano felici di capire e di sentirsi capite.

La Madre dirigeva il suo Monastero con fortezza e soavità: aveva un equilibrio perfetto; quando maggiormente ferveva il lavoro, la si vedeva aggirarsi calma e tranquilla, indicando col solo suo esempio il modo e lo spirito che deve caratterizzare l’attività dei figli di San Benedetto. Con lei non vi era mai affanno, precipitazione, disordine. Non lavorava febbrilmente sino all’ultimo istante ma, sempre padrona di sé, interrompeva a tempo quanto aveva fra le mani per andare col suo passo leggero ove la voce del Signore la chiamava.
Era sempre serena, accanto a lei ogni difficoltà sembrava dileguarsi, ogni nodo si scioglieva quasi d’incanto. Quando sorrideva, ci sembrava di cogliere nei suoi occhi azzurri riflessi di cieli.
A una figliuola facile ad angustiarsi diceva con la sua grazia abituale: «Se fossi come lei, non potrei vivere due ore».
È forse questa meravigliosa semplicità che le ha permesso di avere una vita così lunga e piena e noi pur nel dolore di sì grave perdita non dobbiamo dimenticare di ringraziare il Signore per tanto dono che la tomba non può sottrarci perché sempre vivo e palpitante nei nostri cuori.

«Presto, si chiami la comunità per le ultime preghiere». E dopo un attimo di silenzio, ancora, con insistenza: « le ultime preghiere, bisogna dire le ultime preghiere ».
- Sì, Madre Abbadessa, le diremo. Ma non c’è poi tanta urgenza. Perché vuole affrettarsi così?
Allora con voce forte, decisa: « Perché è la fine ».

Così guardò in faccia alla morte: con calma, con sicurezza, con semplicità. La calma e la sicurezza che nascono dalla fede; quella semplicità di cui aveva tanto parlato alle sue figlie, come prerogativa essenziale di Dio e condizione indispensabile del cammino verso di lui.

Quando, morente, dopo le suppliche liturgiche, le fu chiesto quale altra preghiera desiderasse, rispose subito: il Magnificat, il Te Deum.
Li abbiamo cantati e recitati più volte accanto al suo letto, nella cella monastica che era diventata la pedana sicura e splendente donde si balza verso il cielo, come affermavano, con un ingenuo bisticcio, gli antichi monaci: de cella ad coelum. Li abbiamo ripetuti davanti alla sua salma, e per l’ultimo saluto di venerazione e d’amore nel cimitero monastico, al limite del nostro campo: fra gli ulivi che, donato ormai tutto il loro frutto (avevamo finito la raccolta proprio il giorno prima), attendono, in pace e in silenzio, la vita della nuova stagione.

Era il 6 dicembre 1974.

novissima verba
le parole raccolte sulle sue labbra

Ringrazio la Comunità di tutto. Devo dire che la Comunità è stata sempre perfetta verso di me.
Ci siamo volute bene, oh sì. E chiedo scusa di tutto ciò che di male posso aver fatto e soprattutto di ciò che non ho saputo fare per loro. Ma mi credano che ho sempre voluto bene, molto bene, a tutte e a ciascuna. Loro devono sapere che le ho sempre molto amate. E se in qualche cosa ho fatto pena a qualcuna, è stato senza volerlo perché loro sono sempre state le mie figlie carissime. Già qualcuna delle nostre è in cielo. E un giorno ci riuniremo tutte, a poco a poco, ognuna al suo momento. È là che la Comunità si stabilisce davvero e per sempre. E si è tutte unite e ci si vuol bene in una gioia eterna.

Adesso vorrei fare loro una raccomandazione, una preghiera; è quella che fece Gesù stesso prima di lasciare i suoi: «Ut unum sint». Che siano uno. Oh, sì, che loro siano sempre uno. Uno prima di tutto col Signore. Il Signore ci ha tanto amato, si è dato tutto per noi, e noi dobbiamo rispondere a questo atto di amore col volere tutto ciò che Dio vuole. È lui che giudica ciò che per noi è migliore. Bisogna avere una fiducia completa.

Essere uno anche con le consorelle. In Monastero ci sono tante anime, ma con una sola vita. Tutte unite. Tutte, tutte, una cosa sola. E un giorno ci uniremo anche a quelle che già partecipano della vita eterna. Oh, sì, la vita eterna, la felicità completa, perfetta, nella presenza di Dio! Dio ci darà la ricompensa di tutto perché Dio è buono, dimentica il male per ricordare solo il bene.
Perché il bene è sempre più grande del male. Dio non è come noi... Oh cosa ci riserva Dio nella sua bontà!

Essere tutte una sola cosa con Dio. Dare tutto, non conservare niente per sé, quando non comprendiamo perché Dio ci chiede questo o quel sacrificio, dire egualmente e sempre «Deo gratias».
E se costa, dare ancor più volentieri perché amiamo il Signore e, nel Signore, tutte le consorelle. Bisogna dare tutto per Dio, per il Monastero, per le consorelle. Dirsi sempre: non voglio turbare l’unione, la carità, la pace. Voglio essere tutto ciò che Dio vuole e come Dio mi fa vedere, di momento in momento. «Siano uno come tu e io, Padre, siamo uno». Così si va insieme verso il cielo.

Chiedo alla Comunità di pregare per me, di chiedere per me la grazia di una buona morte. Lassù pregherò per loro, e poi ci ritroveremo. Bisogna pregare anche per questa unità, perché quando vi è questa unità, questa carità, Dio ci guarda con amore e ci benedice. Pregare anche per le famiglie: quella di una deve essere come la famiglia di tutte.
Quando Dio vede in tutte gli stessi sentimenti, la stessa preghiera, ci esaudisce tutte insieme.
Ricordino sempre queste parole del Signore: bisogna essere una sola cosa con lui. Tutte siamo state chiamate dal Signore. Siamo unite. Le consorelle del cielo già sono protettrici; le altre, quelle della terra, sono protette. Ma un giorno saremo tutte insieme, per l’eternità, e niente cambierà, di questa unione, per sempre.
Ricordarsi anche che la perfezione non è di questo mondo, ma c’è la grazia di Dio.

tratto da MONASTICA 2009/3

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