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LE GRANDI FIGURE: Madre Gertrude / da Dourgne a Civitella

autore: Monastero

Antonietta accetta di partecipare al programma e nella sua cristallina lealtà scrive all' Abbadessa Maria Cronier: a Dourgne entrerà, sì, appena caduti gli impedimenti, ma non per sempre. D. Maria Cronier non pone ostacoli, felice di cooperare alla fondazione di un nuovo cenobio presso la sede di Pietro.

E quando nel 1932 Antonietta può varcare finalmente la soglia
dell'Abbazia di Dourgne, le apre braccia e cuore, maternamente; e vigila perché alla postulante, e poi alla giovane novizia, sia data tutta quella formazione morale e pratica, di cui abbisogna in vista dei suoi compiti futuri. Nel suo noviziato prese il nome di Gertrude.

Le difficoltà, per vero, non mancarono neppure allora. M.Gertrude fu sempre molto discreta su questo argomento, ma lasciò qualche volta intendere che la fondazione, per motivi di vario genere, minacciò più volte di crollare. E noi indoviniamo facilmente, proprio per questo silenzio, che, a salvarla, furono soprattutto il suo equilibrio, il tatto, la generosa fermezza.
Poco tempo dopo l'arrivo di M. Gertrude a Dourgne, vi erano giunte due altre monache italiane che l'Abate Vannucci aveva preso dall'antico monastero umbro di Amelia, perché partecipassero alla fondazione.

Il piccolo drappello delle tre italiane ripartì verso l'Italia il 25 marzo 1934, accompagnato da quattro monache francesi che l'Abbadessa Cronier aveva generosamente offerto perché curassero l'impianto morale e materiale della nuova comunità. Priora: M. Andrea Bonnafous. Il 9 aprile le fondatrici giunsero a Civitella, al monastero di cotto rosso, dalle linee rinascimentali, alto sulla collina. Di fronte lo splendido panorama dei colli laziali, intorno i vasti territori appartenenti ai monaci di San Paolo, fra i paesi di Civitella, Nazzano e Capena.

M. Gertrude avrebbe voluto, come vera pietra di fondazione, inabissarsi nella terra per sostenere non vista la costruzione del monastero. Dovette invece sempre portare responsabilità, cariche e posti di preminenza anche se per molti anni riuscì a tener lontano da sé l'onere e l'onore del primo posto. Né era capace di tirarsi indietro quando vedeva che il suo intervento era necessario perché l'opera che le era stata affidata portasse i suoi frutti. Mai le fu concesso di adagiarsi sui risultati ottenuti: appena una meta era raggiunta, subito un nuovo orizzonte le si apriva dinanzi, una nuova necessità la spingeva ad andare oltre, senza soffermarsi in vane compiacenze.

M. Gertrude, che a Dourgne non si era risparmiata austerità e fatiche, era in pessime condizioni di salute, e solo il suo coraggio e le cure che riuscì a prodigarle, per quanto poteva, la Madre Andrea, riuscirono a ristabilirla discretamente. Benché fosse solo professa temporanea, ebbe quasi subito l'incarico di celleraria. La professione perpetua venne anticipata al 16 luglio, festa della Madonna del Carmelo.

Pur restando ancora qualche mese in noviziato, M. Gertrude divenne sempre maggiormente il braccio destro della sua Priora, che la chiamava virgo prudentissima. L'esperienza acquistata nell'amministrazione del patrimonio familiare e la lucidità nell'affrontare i problemi, l'avevano resa infatti particolarmente adatta al disbrigo degli affari, mentre la signorilità del tratto, l'affabilità e il senso preciso della giustizia, le conciliavano la simpatia e la stima di tutti, rendendo più facili e spediti i rapporti con l'esterno.

Nel periodo più cruciale della guerra, parte della comunità si trasferì a Roma (ottobre 1943 - giugno 1944). Ma M. Gertrude rimase sulla breccia insicura di Civitella, con l'edificio per metà occupato dalle truppe tedesche, i bombardamenti vicini, l'ignoto di ogni giorno. E riuscì a mandare avanti, con le poche braccia disponibili, la coltivazione del terreno, per trarne il necessario sostentamento.

Quando nel 1947, la Madre Andrea Bonnafous, per voto unanime della comunità fu insignita dalla dignità abbaziale, M. Gertrude ne divenne la Priora, e l'amore per la sua Abbadessa fu, se possibile, ancor più reverente e filiale. Ne circondò di attenzioni delicate e di cure la tarda età. Era dunque normale e ben giusto che partita la Madre Andrea per il cielo, la comunità chiamasse a succederle M. Gertrude. Furono gli ultimi dieci anni della sua vita: gli anni in cui furono costruite la chiesa, la cappella del cimitero e fu dato inizio all'attività tipografica.

Nel luglio dell'83 M. Gertrude celebrò con gioia, fra la gratitudine e l'affetto delle sue figlie, il cinquantesimo di Professione. Ma ormai l'operaio era stanco per tanto lavoro compiuto al cenno del suo Signore. E spuntò per lei il Sabato eterno, il 4 marzo 1984.

Non ha raccolto i frutti del suo lavoro, non ha saputo godere di ciò che aveva realizzato e le è sembrato di aver fallito agli occhi degli uomini e agli occhi di Dio. Diceva: "Bisogna che io muoia: vedrà come cambieranno le cose quando me ne sarò andata". E a chi ascoltava pareva che parole simili derivassero da un esagerato senso di colpevolezza che sgomentava. Forse invece c'era anche il suo patto segreto col Signore, al quale aveva chiesto, ancor più che il dolore fisico, una sofferenza spirituale a cui non si potesse portar rimedio, senza conforto, senza via d'uscita.

Non è una via per tutti, non è forse una via imitabile; è una via straordinaria in cui non ci si può incamminare senza che Dio stesso la apra davanti all'anima e ve la introduca. Ma è bene per noi sapere quale generosità, quale donazione totale, quale immolazione sta alla base della vita di cui godiamo.

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